Uber: gli autisti sono lavoratori subordinati?

I lavoratori di Uber (come gli autisti) sono subordinati o autonomi? Il concetto di tempo lavorativo spiegato.
Uber lavoratori subordinati

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Gli autisti di Uber sono lavoratori autonomi o subordinati?

Ha fatto molto discutere la recente pronuncia della Suprema Corte Britannica che ha dichiarato alcuni autisti di Uber quali veri e propri lavoratori subordinati.

Uber è un’azienda con sede a San Francisco che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. È uno dei primi e più significativi esempi della c.d. economia collaborativa.

Con questa espressione si fa riferimento a quella produzione di servizi basata sulla condivisione. I dipendenti non sono quindi assunti ma – come nel caso di Uber – la piattaforma si limita a mettere in contatto chi fornisce il servizio e chi ne deve usufruire (questa la descrizione fornita da Uber).

La Suprema Corte Britannica conferma che nella definizione di “orario di lavoro” rientri anche il lasso temporale in cui l’autista di Uber BV deve trovarsi sul luogo di lavoro o nelle sue vicinanze al fine di non perdere la chiamata, e che gli autisti ricorrenti debbano essere considerati dei veri e propri lavoratori dipendenti.

Indice

La vicenda

Nel 2016 diversi autisti di Uber BV hanno chiesto il riconoscimento del loro status di lavoratori dipendenti.

Dopo una prima pronuncia positiva per i lavoratori, Uber BV promuoveva “appello” dinanzi alla Suprema Corte Britannica. La motivazione portata è quella di agire esclusivamente come fornitore di tecnologia, senza quindi poter essere considerato il datore di lavoro.

Sempre secondo Uber BV quando si prenota una corsa tramite l’app, il consumatore stipula un contratto direttamente con il conducente. Uber BV dovrebbe quindi considerarsi solo come mediatore.

Uber è pagato sulla base di una commissione (anche del 20%) sul valore della corsa, per l’utilizzo della tecnologia e degli altri servizi offerti. Questo è il motivo per cui gli autisti di Uber BV dovrebbero considerarsi dei soggetti autonomi che concludono contratti direttamente con i consumatori. Sono in grado di farlo semplicemente utilizzando l’app messa a disposizione da Uber BV, senza alcun obbligo di orario.

Tuttavia, la Suprema Corte Britannica ha offerto un’altra interpretazione.

La decisione

La Suprema Corte Britannica ha ribadito come, indipendentemente dall’inquadramento formale del rapporto di lavoro, la reale natura del rapporto dev’essere valutata sulla base del comportamento delle parti.

Questo si richiama ad un principio cardine del diritto del lavoro: il sostanziale prevale sul formale.

Secondo la Suprema Corte, gli elementi sintomatici della subordinazione sarebbero da individuare:

  • Nell’impossibilità per l’autista di decidere il prezzo, essendo imposto dall’app di Uber.
  • Nell’impossibilità per l’autista di contrattare le modalità di lavoro, essendo tenuto ad un preciso contegno “suggerito” dall’app.
  • Nelle penalità previste in caso di rifiuto o annullamento della prenotazione, arrivando nei casi valutati come più gravi ad una disconnessione dall’app molto simile ad un vero e proprio recesso contrattuale.
  • Nell’attenta limitazione dei dialoghi tra autista e cliente, accompagnata da un sistema di rating che, se troppo basso, porterebbe alla cancellazione dell’account dell’autista (anch’esso molto simile ad un vero e proprio licenziamento disciplinare).

Sulla base di questi elementi, la Suprema Corte Britannica ha ritenuto di confermare la qualifica di lavoratori dipendenti, considerando il continuo controllo ed indirizzo da parte dell’app, accompagnato da un vero e proprio potere sanzionatorio.

Il commento dello Studio

La sentenza è interessante perché, tramite il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, si conferma anche il diritto dei lavoratori di Uber alle ferie pagate, alla malattia e ad un salario minimo.

Tuttavia, l’elemento di maggior valore di questa decisione appare essere la definizione di “working time” e cioè di “tempo lavorato” e quindi da pagare.

Infatti, secondo Uber, solo dal momento in cui si conferma la corsa l’autista avrebbe diritto ad essere pagato, non prima e neanche dopo. Indipendentemente dal fatto che per poter “prendere la corsa”, l’autista debba comunque mettere a disposizione il suo tempo, con anche lunghe attese.

In un recente libro, “il tuo capo è un algoritmo – contro il lavoro disumano” si porta all’estremo (neanche troppo) il ragionamento.

Si pensi al cameriere del bar sotto casa che, in nome di una formula on demand, sia pagato solo ogni volta che raccoglie una comanda e si sposta dai tavoli al bancone per spillare una birra (e non invece per tutte le ore in cui indossa il grembiule e si mette a disposizione della clientela).

Questo esempio è molto simile al business model di Uber. Nel giudizio, la difesa di Uber si basava proprio sull’escludere che l’autista, quando preme sull’app di essere “a disposizione” stia già lavorando.

La difesa di Uber

La difesa di Uber è che il lavoratore potrebbe essere contemporaneamente collegato ad altra piattaforma che gestisca un servizio simile. Tuttavia, valorizzando sempre il dato reale, la Suprema Corte ha chiarito come la quota di mercato di Uber a Londra è tale che i suoi conducenti non sono in grado di rendersi disponibili a qualsiasi altro operatore. Motivo per il quale sono, di fatto, alle sole dipendenze di Uber.

Quest’interpretazione viene anche confermata dalla Corte di Giustizia, che nega la possibilità di ipotizzare forme di pagamento on demand, quindi a cottimo, anche in altre ipotesi.

Ad esempio, nella causa Ville de Nivelles / Matzak (causa C-518/15) riguardante un vigile del fuoco discontinuo (cioè tenuto, a rotazione con i colleghi, a rendersi reperibile ed in grado entro pochi minuti di raggiungere la stazione dei vigili del fuoco) la CGUE ha ritenuto che

Il tempo trascorso dal vigile del fuoco in stand-by a casa, in attesa di un’eventuale chiamata, deve essere considerato orario di lavoro.

La decisione costituisce un importante argine al crescente fenomeno che vede lavoratori costretti a lavorare sempre di più, essere sempre disponibili, ridurre il tempo libero. Questo non per un maggiore guadagno, ma per la minaccia che l’app dedica (unilateralmente) di “disconnetterli dal lavoro”.

Lavori con Uber o piattaforme simili? Contatta lo studio o compila il form sottostante, e scopri come possiamo aiutarti a supportare i tuoi diritti.

Avvertenze

Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale. Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.


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