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Sei stato assunto con contratto a tempo determinato dopo un periodo di lavoro in nero ed ora temi che la tua azienda non ti rinnoverà il contratto? Fai attenzione l’ordinamento tutela il lavoratore in nero e prevede che questo sia assunto a tempo indeterminato fin dal primo giorno di lavoro.
Punti salienti
Capita spesso che un’azienda prima di assumere un dipendente, lo faccia lavorare senza alcun accordo, dicendogli che si tratta di un normale periodo di prova e che, di lì a breve, firmerà il contratto di lavoro.
È bene chiarire sin da subito che questa pratica è illegale e il lavoro prestato “in nero”.
Se l’azienda vuole assumere in prova un dipendente, infatti, dovrà necessariamente firmare un contratto di lavoro che preveda uno specifico periodo di prova.
In mancanza di contratto nessun periodo di prova può ritenersi valido e l’attività lavorativa svolta fino a quel momento è considerata lavoro nero.
Generalmente la stessa azienda, dopo un primo periodo di lavoro in nero, temendo possibili controlli dell’Ispettorato del Lavoro, propone al dipendente un contratto a termine di pochi mesi per poi liberarsene una volta scaduto il termine.
Ebbene il contratto a termine stipulato dopo un periodo di lavoro nero è nullo.
L’ordinamento, infatti, prevede che il lavoratore in nero si considera assunto alle dipendenze del datore di lavoro a tempo indeterminato e full time sin dall’inizio dell’attività lavorativa, quindi sin dal primo giorno di lavoro in nero.
Tale principio è stato recentemente confermato dal Tribunale di Roma con sentenza del 12/05/2020, n. 2440. Il Tribunale ricordando che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto. Con la conseguenza che se il rapporto di lavoro si instaura senza la stipulazione di un contratto, si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
È costante, infatti, la Suprema Corte nell’affermare che
l’apposizione del termine al contratto di lavoro, oltre a risultare da atto scritto, deve essere anteriore o, quantomeno, coeva all’inizio del rapporto di lavoro”, “in funzione della ratio, sottesa appunto alla imposizione della forma scritta, che va individuata, da un lato, nello sfavore del legislatore per il contratto di lavoro a termine – non di rado utilizzato per eludere disposizioni di legge posta a garanzia del lavoratore, quale la disciplina dei licenziamenti individuali – e, dall’altro, nell’esigenza che, mediante l’impiego di detta forma, le parti contrattuali prendano piena coscienza dei reciproci obblighi e diritti, differenziantisi in più punti da quelli scaturienti dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.
(v. Cass. 749/2006 e più di recente 2774/2018; 4418/2016)
Stante la predetta nullità, il Tribunale di Roma disponeva la conversione del contratto di lavoro da “a tempo determinato” in contratto “a tempo indeterminato”, con diritto della lavoratrice alla riammissione in servizio.
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Per tutelarsi il lavoratore deve impugnare il contratto a termine, entro 180 giorni dalla sua scadenza, e dimostrare di aver lavorato in nero per il periodo antecedente alla firma del contratto così da poter chiedere al giudice la costituzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal primo giorno di lavoro nero.
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Nota bene
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