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Con la recente sentenza del 19 dicembre 2019, per via dei comportamenti vessatori ed umilianti subiti dal lavoratore, il Tribunale di Roma ha condannato un datore di lavoro al pagamento di circa 12 mila euro a titolo di risarcimento del danno da straining. Ma che cos’è lo straining ed in cosa si differenzia dal mobbing?
Sei un lavoratore dipendente e non ti è chiaro se hai diritto al risarcimento del danno? Se le cose stanno effettivamente così, riteniamo che il presente articolo possa aiutare a chiarire questi dubbi. Prima di illustrarti nel dettaglio i possibili casi di risarcimento, dobbiamo però specificarti una cosa molto importante:
La Corte di Cassazione, già con pronuncia n. 18262 del 29 agosto 2007, evidenziava che “il datore di lavoro, che non si attiva per far cessare i comportamenti scorretti dei propri collaboratori nei confronti di un collega, è civilmente responsabile per il mobbing subito dal lavoratore”
Se sei quindi intenzionato a verificare che bisogna fare per poter trovare tutela, ti suggeriamo di metterti comodo e di concentrarti sulla lettura di questa breve guida.
Sommario
2. La definizione di Straining
3. La distinzione tra Mobbing e Straining.
La parola mobbing (dal verbo inglese “to mob”, in italiano accerchiare e/o assalire) trova origine negli studi intrapresi negli anni ottanta dallo psicologo svedese Leymann sulla tendenza di alcuni branchi di animali di accerchiare un predatore, come anche un membro dello stesso branco, al fine di allontanarlo.
L’introduzione del mobbing ed il primo caso di risarcimento in Italia risale al 16 novembre 1999, quando il Tribunale del lavoro di Torino condannò la società datrice di lavoro a risarcire ad una sua dipendente il danno psichico temporaneo causato da ripetute frasi offensive ed incivili e dall’assegnazione di una postazione di lavoro angusta, aggravata dalla negazione di contatti con i colleghi.
A questa prima giurisprudenza sono poi seguiti negli anni diversi sviluppi giurisprudenziali che hanno permesso di definire alcuni requisiti per la sussistenza del mobbing:
Elementi recentemente sintetizzati dalla Corte di Cassazione che, ai fini dell’accertamento del mobbing, precisa come sia necessario
“l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima” Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 04/06/2019, n. 15159.
La parola straining (dal verbo inglese “to strain”, in italiano stringere, distorcere e/o mettere sotto pressione) si riferisce invece ad una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui il lavoratore subisce almeno una azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono però di durata costante nel tempo.
Al fine di distingue detta fattispecie di danno più attenuato dal più grave mobbing, anche in questo caso, la giurisprudenza ha indicato alcuni requisiti per la sussistenza del straining:
Elementi recentemente sintetizzati dalla Corte di Cassazione che, ai fini dell’accertamento del straining, precisa come sia necessaria la presenza di “comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma comunque con effetti dannosi rispetto all’interessato” Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 04/06/2019, n. 15159.
In base alle precedenti definizioni, perché si configuri il mobbing è quindi necessario che l’azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo mentre nello straining, diversamente, viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie.
Per parlare di straining, quindi, è sufficiente anche una sola azione, purché i suoi effetti siano duraturi nel tempo.
Si pensi ad esempio al caso del trasferimento illegittimo che, per i modi di attuazione, crei dei danni alla salute psico-fisica del lavoratore. L’evento è pur sempre unico, ma gli effetti negativi saranno di durata costante nel tempo.
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L’analisi dei citati orientamenti giurisprudenziali offre dunque lo spunto per interessanti considerazioni in tema di corretta differenziazione dei due fenomeni di danno e delle diverse possibilità di tutela risarcitoria riconosciute al lavoratore.
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