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Si dice che chi osa insegnare non deve mai smettere di imparare.
Questa volta però la lezione è costata una condanna per una Professoressa delle scuole superiori, rea di aver punito la vittima invece che i bulli.
A seguito delle segnalazioni da parte dei genitori, una professoressa delle superiori veniva sanzionata disciplinarmente con la censura (un rimprovero scritto) .
Tale sanzione era conseguente alla scelta dell’insegnante di non dare credito agli episodi di bullismo segnalati da una studentessa, tanto da decidere di affidarsi a quanto rappresentato dagli altri studenti che invece affermavano di essere stati insultati da quest’ultima.
In questo caso, l’insegnante, invece di indagare la vicenda e di segnalarla alla Preside, provvedeva a:
Tutto ciò, nonostante fosse noto che si trattasse di una classe difficile, caratterizzata dalla presenza di più studenti ripetenti e particolarmente problematici.
Ricevuta la sanzione, ritenendo di stare nel giusto, l’insegnate impugnava dinanzi al Tribunale di Bologna la censura, chiedendone l’annullamento.
Tuttavia, il Tribunale di Bologna, valutato il contegno dell’insegnante, rigettava la domanda di quest’ultima, condannandola anche al pagamento delle spese legali.
Secondo il Tribunale, l’istituto scolastico era stato addirittura sin troppo tenue.
Si legge nella sentenza come:
La situazione è effettivamente paradossale. Ci si chiede cosa avrebbe fatto la ricorrente se avesse voluto invece sanzionarla, se per tutelarla la si è umiliata, isolata, messa alla gogna.
Può succedere nella vita, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, in qualunque situazione, che si voglia fare la cosa giusta o del bene e, involontariamente, si faccia del male, si provochi un danno. Può darsi che ciò sia avvenuto nel caso in esame. Può darsi che la ricorrente, per qualche ragione, non si sia resa conto nella immediatezza dei fatti, dei plurimi errori che stava commettendo e del grave danno che oggettivamente effettuava alla alunna.
Ma se, dopo la contestazione, non ha capito gli errori commessi ed il danno che ha causato e si difende aggredendo, dando la colpa agli altri, lodandosi, non ammettendo l’errore commesso e l’involontarietà del danno, allora o è in mala fede e non sa come giustificarsi (e la censura è davvero sanzione troppo modesta, incongrua e sproporzionata per difetto), o ricommetterà condotte simili errate e pericolose (ed ancora una volta la sanzione della censura sembra proporzionata a fini dissuasivi, se non fin troppo tenue e generosa).
Tribunale di Bologna, sezione lavoro, Sent. n. 633 del 29 dicembre 2020
Il provvedimento in commento porta a riflettere su come non si dovrebbe mai minimizzare o, peggio, ridicolizzare le richieste d’aiuto degli studenti, tanto più se in età adolescenziale.
Tra l’altro, tale provvedimento è utile indice della circostanza che autoelogiarsi, dare la colpa ad altri e mancare di informare il superiore gerarchico siano elementi idonei a confermare (se non ad aggravare) le ragioni di una sanzione disciplinare.
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