Punti salienti
L’istituto del trasferimento è disciplinato dall’art. 2103 Cod. Civ. secondo cui “il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
In altre parole, il datore di lavoro può trasferire il dipendente da una sede lavorativa ad un’altra – senza doverne acquisire il consenso – ma solo se vi sono ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Di conseguenza, in assenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive, il trasferimento del lavoratore sarà legittimo solo se effettuato con il consenso di quest’ultimo.
Il trasferimento effettuato, senza il consenso del lavoratore e in assenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive è nullo (Cassazione n. 21037 del 28 settembre 2006).
Un’ipotesi di motivo tecnico, organizzativo e produttivo che giustifica un trasferimento si ha quando, in seguito alle dimissioni rassegnate da un lavoratore, si crea un vuoto di organico che giustifica lo “spostamento” di un altro dipendente. Chiara in tal senso è la recente sentenza di Cassazione n. 29596 del 24 dicembre 2020.
Nel caso esaminato dalla Corte il responsabile del punto vendita (A) di una catena di negozi aveva rassegnato le proprie dimissioni, lasciando quindi “vuoto” il ruolo di responsabile del negozio (A). Il dipendente del punto vendita (B) della medesima catena veniva quindi trasferito presso il punto vendita (A) per “coprire” il vuoto organico lasciato dal dipendente dimessosi.
Ciò detto, vediamo alcune delle questioni più ricorrenti in tema di trasferimento del dipendente.
Anzitutto è bene chiarire che il dipendente trasferito presso un’altra sede di lavoro può impugnare il trasferimento entro 60 giorni dalla data in cui gli è stato comunicato.
Successivamente, dovrà depositare il ricorso avverso il trasferimento presso il Tribunale del Lavoro entro i successivi 180 giorni.
La possibilità di impugnare il trasferimento non significa, tuttavia, che il dipendente possa al tempo stesso rifiutarsi di svolgere l’attività lavorativa richiesta presso la nuova sede di lavoro.
Il lavoratore, infatti, è tenuto a seguire le direttive impartite dal datore di lavoro finché non venga giudizialmente riconosciuta l’illegittimità del trasferimento.
In altri termini, l’illegittimità del trasferimento non giustifica in via automatica il rifiuto del lavoratore a eseguire l’attività lavorativa.
Il rapporto di lavoro, infatti, è fondato su un contratto a prestazioni corrispettive cui si applica l’art. 1460 comma 2 Cod. Civ. Secondo tale norma la parte può rifiutare si eseguire la propria prestazione solo nel caso in cui tale rifiuto non risulti contrario alla buona fede.
Iscriviti alla newsletter per rimanere sempre aggiornato
Per questo tipo di ipotesi esiste una disciplina apposita dettata dall’art. 33 comma 5 L. 104/1992 secondo cui il lavoratore che assiste un familiare disabile ha diritto di scegliere, quando possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Tale lavoratore, inoltre, non può essere trasferito in un’altra sede senza il suo consenso.
L’interesse del lavoratore, però, deve necessariamente essere bilanciato con quello del datore di lavoro che, come si è detto, può legittimamente trasferire il dipendente se vi siano ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Pertanto, il giudizio sulla legittimità di un simile trasferimento dovrà essere effettuato considerando, da un lato, quanto il cambio di sede modifichi (in peggio) le condizioni di vita del portatore di handicap, dall’altro, se effettivamente vi siano ed eventualmente quale rilevanza abbiano le esigenze tecniche, produttive e organizzative sottese al trasferimento.
Circa il diritto del lavoratore a percepire la Naspi l’INPS, con messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018, ha precisato che:
Vuoi parlare con un esperto? Vuoi far valutare il tuo caso o avere maggiori informazioni? Scrivici qui.
Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
Photo by Bench Accounting on Unsplash
Lo Studio Legale Rosetta è un punto di riferimento nella tutela del lavoro e della invalidità. Il nostro gruppo di professionisti è in grado di assicurarti un servizio legale accessibile e di alto livello.
2 risposte