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Non hai ricevuto la disoccupazione (c.d. NAspi)? Il datore di lavoro ha comunicato le tue dimissioni, quando invece è stato lui a mandarti via?
Devi allora sapere che il Tribunale di Milano ha recentemente riconosciuto il diritto dei lavoratori di chiedere il risarcimento per mancata Naspi. Tuttavia, tale risarcimento è condizionato al verificarsi di una serie di requisiti. Vediamoli insieme.
In breve: in questo articolo verificheremo in quale ipotesi il datore di lavoro può trovarsi a dover pagare di tasca propria l’indennità di disoccupazione al lavoratore.
Punti salienti
Una lavoratrice domestica adiva il Tribunale di Milano1 per far accertare che la domanda di indennità di disoccupazione (c.d. “NASPI”) era stata rigettata per colpa del datore di lavoro. Invero, secondo la lavoratrice, il datore di lavoro aveva sbagliato la comunicazione di cessazione rapporto di lavoro all’INPS e, per tale ragione, era tenuto al risarcimento del danno subito.
Il datore di lavoro aveva infatti indicato come motivo di cessazione le dimissioni e non licenziamento invero irrogato.
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Per motivare il risarcimento, il Tribunale di Milano innanzitutto verificava l’estratto conto contributivo della lavoratrice. L’Estratto conto contributivo è il documento che attesta i periodi dell’anno in cui un lavoratore è impiegato e quelli in cui è inattivo. Verificato quindi che nei mesi successivi alla conclusione del rapporto, la lavoratrice non avevo svolto altri lavori, accertava come in effetti avrebbe avuto diritto alla Naspi (poiché disoccupata).
Il secondo presupposto da verificare era poi che lo stato di disoccupazione fosse dovuto non ad una scelta della lavoratrice, ma fosse conseguenza del licenziamento subito. Dato che Naspi è un’indennità legata ad ipotesi di disoccupazione involontaria, viene riconosciuta solo nei casi di licenziamento o dimissioni per giusta causa, mentre è esclusa in caso di dimissioni semplice.
Nel caso esaminato il datore di lavoro presentava un documento di rettifica inviato all’INPS e così ammettendo implicitamente il proprio iniziale errore, dato dall’aver indicato nella causale dell’interruzione le “dimissioni” anziché, appunto, “licenziamento”.
Per tale ragione, il Tribunale di Milano riconosceva un risarcimento di Euro 2.064,18, oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria, pari a 3 mesi di Naspi (Euro 688,06 al mese).
Va infine precisato come il risarcimento sia stato limitato rispetto alla domanda della lavoratrice. Quest’ultima aveva infatti chiesto il risarcimento dell’intero periodo di disoccupazione, tuttavia il Giudice del lavoro limitava tale richiesta, stante che:
Di conseguenza, non essendosi attivata in alcun modo la lavoratrice per impugnare il diniego, né tantomeno per rinnovare la richiesta all’esito della rettifica in questione, il risarcimento veniva limitato a soli 3 mesi.
Tale limitazione viene definita “compensatio lucri cum danno” ed è prevista in tutti i casi in cui il danno sia anche conseguenza della condotta del danneggiato che, come nel caso di specie, se si fosse attivato, avrebbe potuto quantomeno limitare nelle conseguenze.
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Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali, nonché delle attività oggetto di studio.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica che andrà trattata caso per caso.
1 Tribunale Milano, Sez. lavoro, Sent., 02/12/2021, n. 2639
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