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Punti salienti
Dall’inizio della pandemia è tornato il tema del burnout lavorativo.
Su Repubblica.it si legge di Asl ed ospedali costretti ad attivare servizi di assistenza per i propri lavoratori. Circa il 60% degli infermieri ha avuto problemi di stress e con la pandemia sono aumentate ansia e paure.
Il burnout è una sindrome che può riguardare qualsiasi lavoratore ed è bene che datori di lavoro e lavoratori ne conoscano le caratteristiche per evitare complessi danni alla salute.
La cosiddetta “sindrome del burnout” (o anche semplicemente burnout), è la conseguenza di una situazione lavorativa che – per vari fattori – ingenera nel lavoratore stress e nervosismo che può sfociare in vera e propria alienazione lavorativa e, nei casi più gravi, addirittura al suicidio.
Il burnout è una sindrome (e dunque non una malattia) ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che può insorgere, ad esempio, a causa di un sovraccarico lavorativo, per la mancanza di adeguati riconoscimenti, per mancanza di senso di appartenenza al gruppo di lavoro o anche a seguito di rapporti negativi instaurati con i colleghi o i clienti.
La legislazione italiana prevede il preciso obbligo per il datore di lavoro di effettuare la valutazione dello Stress Lavoro Correlato (D.Lgs. n. 81/2008) che deve essere ripetuta con frequenza triennale, sempre che dalle precedenti valutazioni non emergano situazioni che indichino la presenza di disagio in misura tale da richiedere provvedimenti correttivi o l’adozione di tempistiche più ristrette.
La mancata valutazione del rischio da stress lavorativo è espressamente sanzionata, Una tale mancanza può quindi comportare la responsabilità sia civile che anche penale del datore di lavoro.
Non va nemmeno sottovalutato il rischio di incorrere in un reato laddove all’omissione della valutazione dei rischi in relazione ad un lavoro ripetitivo consegua una malattia o un infortunio del lavoratore (Cass. sez. penale, 8 marzo 2013, n. 11062, in una fattispecie riguardante un addetto alla pulizia dei vetri).
La giurisprudenza ha avuto modo, in più occasioni, di occuparsi del risarcimento del danno da Stress Lavoro Correlato.
La Corte di Cassazione ha precisato che il risarcimento del danno da Stress Lavoro Correlato
si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea generale, la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici.
Cass. Civ. 22 Marzo 2016, n. 5590
Il diritto del lavoratore al risarcimento del danno sorge pertanto in presenza di questi presupposti:
Su tali principi il risarcimento del danno è stato riconosciuto a:
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Infine, merita un cenno una recente sentenza che ha riconosciuto ad una lavoratrice l’indennizzo INAIL previsto per le malattie professionali che l’Istituto le aveva negato in sede amministrativa (Cass. 5 marzo 2018, n. 5066).
La fattispecie esaminata riguardava una dipendente che, costretta a svolgere un ingente numero di straordinari consecutivi, aveva accusato disturbi da ansia e depressione; la lavoratrice aveva pertanto presentato la richiesta all’INAIL ma si era vista rifiutare l’indennizzo in quanto i disturbi dell’adattamento, con conseguente ansia e depressione, non rientravano nei tabellari delle malattie citate per tale risarcimento.
La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione della Corte di Appello di Brescia, ha invece osservato, in particolare, che
nell’ambito del D.P.R. n. 1124/1965 sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica; risulta assicurata all’Inail ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa, anche se non ricompresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
Vi invitiamo a leggere anche l’articolo sullo straining e sul mobbing.
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Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
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