Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la sussistenza del reato di maltrattamenti in capo al datore di lavoro che, ripetutamente, offendeva una dipendente in presenza di colleghi e clienti.
La notizia ci è utile per evidenziare come possibili comportamenti offensivi e lesivi della dignità umana tenuti da un superiore gerarchico sul luogo di lavoro possano comportargli non solo ripercussioni economiche, ma anche quello di una condanna penale.
Punti salienti
Il reato di maltrattamenti è previsto dall’art. 572 Cod. Pen. secondo cui
chiunque […] maltratta una persona sottoposta alla sua autorità […] è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La norma, dunque, consente di riconoscere il reato di maltrattamenti anche in capo al datore di lavoro o al superiore gerarchico che, sul luogo di lavoro, tenga una condotta offensiva e lesiva della dignità umana dei dipendenti a lui sottoposti.
Nel 2017 il Tribunale di Udine condannava il datore di lavoro per i delitti di atti sessuali e di maltrattamenti in danno di una lavoratrice, dipendente presso il ristorante da lui gestito.
La corte d’appello di Trieste, successivamente, mandava assolto il datore di lavoro dal delitto di atti sessuali mentre confermava la condanna per il reato di maltrattamenti.
Il datore di lavoro proponeva così ricorso per Cassazione evidenziando, tra gli altri motivi, di non aver rivolto ingiurie e turpiloqui alla dipendente.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2378 del 20 gennaio 2022 ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, confermando quanto stabilito dalla Corte d’appello di Trieste.
I Giudici di legittimità hanno rilevato come per la configurazione del delitto di maltrattamenti ex art 572 cod. pen. sia sufficiente “qualsiasi condotta di abituale prevaricazione, tale da infliggere al destinatario vessazioni e sofferenze, fisiche o morali” tali da imporre alla persona offesa uno stato di vita umiliante e persecutorio.
La sentenza in esame valorizza non solo la posizione di supremazia assunta dal datore di lavoro rispetto alla vittima, ma anche la necessità per la lavoratrice di dover conservare il posto di lavoro, indispensabile per il suo sostentamento.
La donna era perciò costretta a subire le vessazioni del datore di lavoro.
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Spesso si verifica che lavoratori e lavoratrici, per mantenere il posto di lavoro, subiscano offese e vessazioni dei loro superiori giungendo a pensare che sia “normale” e inevitabile.
Non è così.
Il rapporto di lavoro, qualsiasi esso sia, ha alla base obblighi di buona fede e correttezza. Vessazioni, offese e sopraffazioni del datore di lavoro, come visto in precedenza, possono configurare un reato e dare diritto ad un risarcimento del danno subito.
Se anche tu sei vittima di simili comportamenti sul luogo di lavoro puoi rivolgerti ad un legale per esporre il tuo caso e capire come agire per tutelarti al meglio.
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Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
Photo by Salman Hossain Saif on Unsplash
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