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Il quotidiano online del Corriere della Sera riporta la notizia del fenomeno delle grandi dimissioni.
“1,6 milioni in fuga dal lavoro in nove mesi” – Ma di cosa si tratta?
E a quali conseguenze vanno incontro i lavoratori che si dimettono?
Punti Salienti
La notizia spiega come, analizzando le comunicazioni obbligatorie trasmesse al Ministero del Lavoro, il numero di dipendenti che lasciano il posto di lavoro continua ad aumentare.
Nei primi 9 mesi del 2022, infatti, sono state registrate 1,66 milioni di dimissioni, vale a dire, un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nel 2021, infatti, le dimissioni erano state 1,36 milioni.
Nasce da questi dati la definizione di “grandi dimissioni”.
Le ragioni di un numero sempre crescente di dimissioni sembrano dovute, per alcuni, dalla volontà di cercare un lavoro meglio retribuito, per altri, dalla necessità di conciliare i tempi lavorativi con le esigenze familiari.
Ma a quali conseguenze vanno incontro i lavoratori che si dimettono?
Per capirlo dobbiamo anzitutto distinguere le dimissioni volontarie, di cui parla l’articolo del Corriere della Sera, dalle dimissioni per giusta causa.
Un dipendente può recedere liberamente dal contratto di lavoro rassegnando le proprie dimissioni volontarie senza particolari motivi o vincoli, salvo quello relativo al periodo di preavviso, generalmente stabilito dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
In tal caso, quindi, il dipendente presenterà le dimissioni volontarie, ma smetterà effettivamente di lavorare solo al termine del periodo di preavviso.
Diversamente, non rispettando (e quindi non lavorando) i giorni di preavviso, il dipendente si vedrà decurtare dalla busta paga di fine rapporto il c.d. “mancato preavviso”, ossia i giorni di preavviso non lavorati.
Vi è poi il caso delle c.d. “dimissioni per giusta causa”. Si tratta di quelle dimissioni rese dal dipendente a causa di un grave inadempimento del datore di lavoro, tale da non consentire la prosecuzione – neanche provvisoria – del rapporto di lavoro.
Diversamente dalle dimissioni volontarie, quindi, non vi sarà alcun periodo di preavviso da rispettare. Il dipendente smetterà di lavorare nel momento stesso in cui presenterà le dimissioni per giusta causa.
Non solo, visto che le dimissioni sono dovute a un inadempimento del datore di lavoro, il dipendente avrà diritto a percepire una somma a titolo di indennizzo, pari alla retribuzione prevista per i giorni di preavviso previsti dal contratto collettivo applicato.
Alcune tra le ipotesi tipiche che giustificano le dimissioni per giusta causa sono:
La NASPI, conosciuta anche come “l’indennità di disoccupazione”, viene erogata dall’INPS ai lavoratori che hanno perso involontariamente il lavoro.
Per poter richiedere la NASPI, dunque, non è sufficiente essere disoccupati, ma è necessario che la disoccupazione sia involontaria.
Ciò comporta che il lavoratore disoccupato a seguito di dimissioni volontarie non potrà fare richiesta della NASPI.
Al contrario, il lavoratore disoccupato a seguito di dimissioni per giusta causa potrà presentare la domanda di NASPI dimostrando di essersi dimesso a causa dei comportamenti del datore di lavoro.
Il lavoratore che presenta dimissioni, sia volontarie che per giusta causa, avrà diritto a vedersi pagare lo stipendio, le ferie ed i permessi di cui non ha usufruito durante il rapporto di lavoro.
Inoltre, dovrà percepire anche i ratei di mensilità aggiuntive, tredicesima e quattordicesima, in base a quanto previsto dal Contratto collettivo.
Infine, avrà sempre diritto a percepire il TFR ed il datore di lavoro non potrà negare o ritardare il versamento dello stesso.
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Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
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