Share:
Il datore di lavoro può chiedere di non indossare il velo islamico sul luogo di lavoro?
Punti Salienti
Nei giorni scorsi si è parlato molto delle limitazioni imposte dalla Francia all’utilizzo all’interno delle scuole dell’Abaya, una tunica tradizionale utilizzata dalle donne musulmane.
Sul punto, le prime dichiarazioni indicano che le ragioni del divieto deriverebbero dall’esigenza di confermare per le scuole il ruolo di “santuari della laicità”. Tuttavia, la scelta appare dividere, dato che non è chiaro se si tratti più di un abito tradizionale o religioso.
In ragione della questione appena descritta, ci siamo chiesti se il datore di lavoro possa o meno vietare di indossare sul luogo di lavoro il velo islamico o qualsiasi altro indumento non rigorosamente neutro in termini di valore politico, filosofico o religioso.
Casi di questo tipo sono stati fortunatamente già trattati dalla Corte di Giustizia Europea che, con le sue decisioni, ci permette di delineare in quali casi, ad esempio, un lavoratore o una lavoratrice possa legittimamente contestare il divieto all’utilizzo sul luogo di lavoro dell’hijab, il velo islamico.
Una delle più recenti decisioni della Corte di Giustizia ha riguardato due società tedesche: La “WABE” e La “MH Müller Handels”.
La WABE è una società che gestisce un notevole numero di asili nido situati in Germania, presso i quali lavorano oltre 600 dipendenti e sono seguiti circa 3.500 bambini.
La MH Müller Handels è società che gestisce invece una catena di drogherie.
Entrambe le società prevedono dei regolamenti interni volti alla realizzazione di una policy per la neutralità dei segni politici, filosofici e religiosi nei rapporti con i clienti.
Inoltre, la Wabe non prevede tali limitazioni per i dipendenti che lavorano nella sede centrale, poiché quest’ultimi non hanno contatti diretti con i clienti.
In entrambe le società delle lavoratrici si rifiutavano di svolgere il proprio lavoro in assenza dell’hijab, il velo islamico.
Stante il mancato rispetto del regolamento, le lavoratrici venivano quindi sospese. Sospensione dal lavoro poi impugnata dalle stesse lavoratrici ed arrivata al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, sancito all’articolo 9 della CEDU è uno dei fondamenti di una “società democratica”.
Tale diritto costituisce nella sua dimensione religiosa, uno degli elementi più vitali che contribuiscono alla formazione dell’identità dei credenti ed è allo stesso tempo un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti, poiché contribuisce al pluralismo duramente conquistato nel corso dei secoli (cfr. Corte EDU, 15 febbraio 2001, Dahlab c. Svizzera).
Partendo da questi presupposti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che la scelta del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa sul luogo di lavoro, per essere lecita richiede che
Pertanto, valutata l’assenza di una condotta discriminatoria, la Corte di Giustizia confermava la legittimità della scelta di impedire l’utilizzo del velo islamico (al pari di ogni altro segno religioso) sul luogo di lavoro.
La decisione ha destato non poche polemiche, nonché l’accusa di islamofobia.
Secondo il portavoce di Recep Tayyip Erdoğan, Ibrahim Kalin:
La decisione della Corte di giustizia europea riguardo il velo sul posto di lavoro è un altro colpo ai diritti delle donne musulmane.
Precisando come
questa scelta fa il gioco di quei guerrafondai contro l’Islam in Europa, il concetto di libertà religiosa ora esclude i musulmani?
Tuttavia, nel massimo rispetto delle diverse sensibilità religiose, questa decisione precisa come una tale limitazione, per essere consentita, deve applicarsi in modo generalizzato per ogni segno di natura politica, filosofica o religiosa.
In altri termini, al datore non sarà consentito limitare il velo ed acconsentire al crocifisso, ma dovrà sempre utilizzare un metro comune per tutti i lavoratori.
Non solo. La Corte di giustizia impone anche un oggettivo bilanciamento delle esigenze.
Si dovrà pertanto verificare la presenza di un’esigenza reale del datore di lavoro, data ad esempio dalle legittime aspettative dei clienti o degli utenti.
La Corte di Giustizia EU precisa che:
Ciò vale, ad esempio, per il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche riconosciuto all’articolo 14 della Carta e per il loro desiderio di far educare i loro figli da persone che non manifestino la loro religione o le loro convinzioni personali allorché sono a contatto con i bambini al fine, segnatamente, di «garantire lo sviluppo individuale e libero dei bambini per quanto riguarda la religione, le convinzioni personali e la politica».
Una tale decisione si basa sulla legittima esigenza del datore di seguire una politica di neutralità (politica e religiosa) nei confronti dei propri dipendenti e dei propri clienti, poiché neutrale, generale, non discriminante e bilanciata rispetto alla libertà d’impresa del datore di lavoro.
Se l’articolo ti è piaciuto o ti è stato utile, faccelo sapere premendo sull’icona del like.
Vuoi parlare con un esperto? Vuoi far valutare il tuo caso o avere maggiori informazioni? Scrivici qui.
Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
Photo by Nada Hanifah on Unsplash
Lo Studio Legale Rosetta è un punto di riferimento nella tutela del lavoro e della invalidità. Il nostro gruppo di professionisti è in grado di assicurarti un servizio legale accessibile e di alto livello.
© Copyright 2024 Studio Legale Rosetta
P. Iva 11891371004