Quando è lecito registrare le conversazioni con i colleghi?

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Può accadere che sul posto di lavoro si verifichino situazioni di “incompatibilità” con alcuni colleghi che, a volte, possono sfociare in contestazioni disciplinari a carico di uno dei lavoratori coinvolti, il quale non sempre riesce a dimostrare quanto subìto.

Considerando che è ormai sufficiente uno smartphone per registrare una conversazione, è bene comprendere in quali casi è lecito dare avvio ad una registrazione.

La Vicenda

Un lavoratore veniva licenziato per aver presentato al Datore di lavoro – per esercitare il suo diritto di difesa – una chiavetta USB contenente la registrazione di conversazioni intrattenute con alcuni colleghi durante l’orario di lavoro.

Si rende, pertanto, interessante analizzare l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte di Cassazione.

Le Motivazione

Con la sentenza n. 11322/2018, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito quanto già precisato in tema di “registrazioni di un colloquio tra presenti”.

In particolare, tale tipologia di registrazione rientra nel genus delle registrazioni meccaniche ai sensi dell’art. 2712 cod. civ. ed ha, pertanto, natura di prova ammissibile nel processo civile del lavoro così come in quello penale”.

Sulla base di tale considerazione, la Suprema Corte ha affermato che proprio alla luce della precedente giurisprudenza penale formatasi sul punto, la registrazione fonografica di un colloquio effettuata da un partecipante alla conversazione rientra tra le prove documentali ammissibili.

Inoltre, precisa la Corte, che il diritto di difesa “non va considerato limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso”.

In tal senso, con riferimento al caso in esame, la Corte ha quindi ritenuto ammissibile la registrazione effettuata dal lavoratore, poiché prodotta al fine di esercitare il proprio diritto di difesa in sede disciplinare.

E la privacy?

Come noto, il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato, incorrendosi altrimenti in possibili sanzioni.

Vi sono, tuttavia, delle particolari circostanze in cui non è richiesto il consenso espresso dell’interessato per il trattamento dei relativi dati personali, come, ad esempio, il caso in cui tale trattamento è volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Chiaramente, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario.

A tal riguardo, si richiama la giurisprudenza di legittimità, a mente della quale è possibile derogare alla normativa sul trattamento dei dati personali “quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito” (Cass. SS.UU. 3034/2011 richiamata in Cass. Sezione Lavoro n. 11322/2018).

In tali casi, pertanto, non si incorre nel sistema richiamato sistema sanzionatorio.

Conclusioni 

La decisione si annota per aver statuito la legittimità della condotta del lavoratore che – attraverso la registrazione di conversazioni intervenute con i suoi colleghi – voleva dimostrare la fondatezza della sua posizione, la quale non poteva, quindi, rilevare né ai fini penali né ai fini disciplinari.

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