Le chat nei gruppi WhatsApp tra dipendenti possono giustificare il licenziamento?

In questo articoli si commenta la recente pronuncia del TAR di Roma che ha confermato la sospensione inflitta ad un appartenente del Corpo di Polizia penitenziaria per aver posto un mi piace su Facebook ad una notizia relativa al suicidio di un detenuto

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Nel momento in cui il datore di lavoro venga schernito da un suo dipendente in un gruppo WhatsApp tra colleghi, può licenziare chi lo ha messo in ridicolo?

Se il datore di lavoro riceve l’inoltro da uno dei componenti del gruppo WhatsApp, può utilizzare questi testi?

La Corte d’Appello di Venezia afferma l’utilizzabilità da parte del datore di lavoro delle comunicazioni scambiate dai suoi dipendenti, poiché inoltrate da uno dei partecipanti al gruppo WhatsApp.

In questo articolo si intende chiarire i rischi connessi all’utilizzo superficiale, soprattutto in ambito lavorativo, delle chat di WhatsApp.

La Vicenda

Una lavoratrice veniva licenziata per aver inviato ai suoi colleghi, tramite una chat WhatsApp privata, un filmato effettuato all’interno del luogo di lavoro in cui era ripreso lo Store Manager mentre usciva dal bagno in mutande con una bottiglia “di urine” in mano.

Tuttavia, il licenziamento veniva dichiarato illegittimo non perché basato su delle chat private, ma in ragione del valutato carattere meramente “goliardico” della chat.

Valutata anche l’incapacità del video di creare un effettivo danno economico alla società, non essendo mai stato pubblicato all’esterno della chat, la Corte d’Appello di Venezia ha poi il merito di precisare quando al datore sia consentito di utilizzare le chat, distinguendo tra:

  1. il caso in cui si tratti di acquisizione di chat private in assenza di preventiva autorizzazione (non consentito);
  2. il caso in cui si tratti di acquisizione di chat a seguito dell’inoltro da parte di uno dei lavoratori inseriti nella chat (consentito).

La motivazione

La Corte d’Appello richiama prima la giurisprudenza di legittimità secondo cui i gruppi privati di WhatsApp costituiscono comunicazioni private (sorrette dall’inviolabilità della libertà e segretezza delle comunicazioni), tanto che si legge che:

“Se dunque lo scambio di messaggi nel gruppo whatsapp a cui appartenevano i colleghi della ricorrente costituisce corrispondenza privata, esso è garantito dalla segretezza, diritto inviolabile che può essere limitato solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Corte appello Venezia , 27/07/2020, n. 258 

Sempre nella motivazione, la Corte d’Appello sottolinea poi il diverso caso dell’inoltro della chat da parte di un componente del gruppo WhatsApp non espressamente chiuso, precisando che:

Su tali premesse va poi rammentato che, una volta che la comunicazione è stata inoltrata, il destinatario è libero di farne l’uso che ritiene e quindi di divulgarla a terzi (Cass. pen. V, 40022 del 2014).

Corte appello Venezia , 27/07/2020, n. 258 

Se ne ricava che, in caso di inoltro della chat non privata, da parte di uno dei componenti del gruppo WhatsApp, al datore di lavoro è consentito di utilizzare la chat per sanzionare il lavoratore.

Conclusioni

La decisione si annota per aver sottolineato la differenziazione tra la non utilizzabilità di prove derivanti dall’accesso non autorizzato di un soggetto terzo in una chat privata, rispetto alla consentita utilizzabilità del contenuto di una chat, qualora inoltrata da parte di uno dei componente del medesimo gruppo WhatsApp.

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Avvertenze

Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.


Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale. 

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