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Lavori in smart working e hai ricevuto una sanzione disciplinare?
Ti chiedi se potresti essere licenziato da remoto?
Come descritto anche in un precedente articolo, la L. 81/2017 prevede che, nel rispetto dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, l’accordo che regola il lavoro agile deve disciplinare
l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali
Ma quando è rilevante che le norme disciplinari siano portate a conoscenza dei lavoratori che si trovano in smart working?
Nel presente articolo si richiama la pronuncia del Tribunale di Roma che, già nel 2018, chiariva come, anche da remoto, fosse ben possibile incorrere in sanzioni disciplinari.
Indice
La vicenda posta all’attenzione del Tribunale di Roma riguardava il caso di un lavoratore in smart working licenziato disciplinarmente.
Nel corso di uno scambio di e-mail e attraverso l’utilizzo di post pubblicati su Facebook, aveva rivolto ai superiori e ai colleghi offese immotivatamente gravi.
Il lavoratore impugnava il licenziamento contestando, da un punto di vista formale, la mancata indicazione di tali condotte (offese tramite e-mail) tra le possibili cause di licenziamento secondo il codice disciplinare aziendale.
Tuttavia, diversamente da quanto atteso dal lavoratore, il Tribunale di Roma confermava la legittimità del licenziamento indipendentemente dalla presenza o meno di tali condotte all’interno del codice disciplinare.
In merito, il Tribunale di Roma evidenziava come in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti
non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.
Tribunale di Roma, sentenza n. 6022 dell’11 luglio 2018
In definitiva, il Tribunale di Roma ha rilevato la legittimità del licenziamento disciplinare osservando che, nel caso, il licenziamento era:
Questo perché l’utilizzo di affermazioni oltraggiose ed offensive rivolte a superiori e colleghi porta ad un “insanabile contrasto con il rapporto fiduciario”.
Il Tribunale ha ritenuto che
il datore di lavoro non poteva più riporre la fiducia e confidare in una proficua collaborazione in chi manifesta un assoluto disprezzo e disistima nei confronti dei vertici aziendali, dei superiori e degli altri colleghi.
Tuttavia, in termini più generali, deve sempre esserci alla base una valutazione complessiva, soprattutto in un periodo come quello attuale di smart working forzato.
L’eventuale inadempimento del lavoratore dato dalle offese inoltrate ad esempio tramite e-mail, da sanzionare, dovrebbe però essere sempre bilanciato alla luce dell’adempimento o meno da parte del datore di lavoro ai propri obblighi.
In altri termini, può essere equiparata l’offesa immotivata del lavoratore a fronte di una legittima richiesta o richiamo del datore, rispetto all’offesa prodotta da chi non viene pagato per tempo o lavora più ore del dovuto?
Per dare un esempio estremo dell’importanza riconosciuta dalla giurisprudenza al “contesto”, si può richiamare la recente sentenza del Tribunale di Parma, passata all’attenzione della cronaca.
Il Tribunale parmense dichiara nullo un licenziamento sulla base della valutazione di una emoji.
Nello specifico, il Tribunale aveva ritenuto che la presenza di emoji affiancate ai commenti negativi in una chat di lavoro fossero simbolo di un intento canzonatorio, scherzoso e non certo offensivo.
Tolti i casi più estremi, oltre alla valutazione dell’offesa in sé si dovrà quindi valutare sempre anche il contesto in cui si verifica tale offesa.
Hai ricevuto una contestazione disciplinare per aver pubblicato sui social offese ai tuoi superiori o colleghi? Contatta lo studio o compila il form sottostante.
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Avvertenze
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale. Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
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