Offese via Whatsapp sul lavoro. È possibile il licenziamento?

Le offese via Whatsapp sul lavoro al superiore possono determinare un licenziamento? Il chiarimento delle sentenze e la differenziazione tra pubblico e privato.
Offese whatsapp lavoro

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Le offese sul lavoro in una chat privata di Whatsapp può essere causa di licenziamento?

Delle offese in un gruppo whatsapp ne abbiamo già parlato in una precedente articolo. In questo vedremo in quali casi, secondo la giurisprudenza, le offese in chat private possono essere causa di licenziamento.

Indice

La vicenda. L’offesa via Whatsapp sul lavoro.

Un lavoratore è stato licenziato per aver inviato dei messaggi vocali in una chat di Whatsapp, offendendo un suo superiore.

In particolare, l’azienda aveva contestato al lavoratore di aver inviato registrazioni vocali “con contenuti offensivi, minatori e razzisti”.

Il lavoratore, pur riconoscendosi autore di tali messaggi, impugnava il licenziamento dinanzi al Tribunale di Firenze, ritenendolo illegittimo per insussistenza del fatto contestato.

Il Tribunale ha colto l’occasione per precisare in quali casi sussiste la natura diffamatoria dei messaggi inviati in chat di Whatsapp.

Per fare ciò, il giudice di merito ha ripercorso la distinzione elaborata nel tempo dalla Corte di Cassazione tra:

  • messaggi diffusi tramite strumenti potenzialmente idonei a raggiungere un numero indeterminato di persone, come, ad esempio, la bacheca Facebook (Cassazione, sentenza n. 10280/2018) e
  • messaggi inviati tramite strumenti (come una chat di Facebook privata) ad accesso limitato, con esclusione della possibilità che le comunicazioni ivi inserite siano conoscibili da soggetti diversi dai partecipanti (Cassazione, sentenza n. 21965/2018).

La decisione. Comunicazioni ad accesso privato o pubblico.

Ripercorrendo i principi già espressi dalla Cassazione, il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso del lavoratore, affermando che i messaggi inviati in chat di Whatsapp.

configurano comunicazioni diffuse in un ambiente ad accesso limitato.

Di conseguenza, in questi casi è da “escludere qualsiasi intento o idonea modalità di diffusione denigratoria”.

Per considerare ingiuriosi, discriminatori o minacciosi i messaggi inviati ai superiori deve riscontrarsi

l’astratta possibilità di divulgazione a un numero indeterminato di persone.

Tribunale di Firenze, sentenza del 16.10.2019

Il commento dello Studio

In sostanza, alla luce di quanto ricostruito dal Tribunale di Firenze, non sempre il comportamento di un lavoratore che offende un superiore su Whatsapp può qualificarsi come “minaccioso e discriminatorio”.

In particolare, per giustificare un provvedimento espulsivo, si deve riscontrare “l’astratta possibilità di divulgazione (del messaggio) a un numero indeterminato di persone”.

E, nel caso analizzato dal Tribunale di Firenze, in cui la chat di Whatsapp era riservata ai soli partecipanti, non è stato ritenuto sussistere un fatto avente carattere di illiceità tale da giustificare il licenziamento.

Allo stesso modo, in caso di “affermazioni per loro natura destinate a restare riservate”, non si riscontra una violazione dell’obbligo di fedeltà che giustifichi un licenziamento per giusta causa.

Per valutare la legittimità o meno del licenziamento si dovrà, quindi, valutare sia l’esatto contenuto della contestazione disciplinare che ha condotto al licenziamento sia il contesto in cui le offese al proprio superiore si inseriscono.

E, nel caso in cui il licenziamento dovesse risultare così illegittimo, il lavoratore potrà essere reintegrato nel posto di lavoro.

Pensi di esser stato licenziato in modo illegittimo? Contatta lo studio compilando il form sottostante, e scopri come possiamo aiutarti a supportare i tuoi diritti.


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Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale. Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.

Photo by Cristina Gottardi on Unsplash

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