Licenziare per un like su Facebook è contrario ai diritti umani

Può essere sufficiente un like su Facebook per licenziare? La questione posta alla CEDU e la sua risposta.
Licenziare like Facebook

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La Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) chiarisce che licenziare una dipendente per alcuni like su Facebook è contrario ai diritti umani, perché integra una violazione del diritto alla libertà di espressione.

Tale decisione porta ad un’ulteriore evoluzione della giurisprudenza sul tema della rilevanza disciplinare del like su Facebook.

Ne avevamo già parlato in precedenza in questo articolo.

La CEDU chiarisce l’ampiezza della “libertà di espressione” e come vada tutelata ed assicurata anche sui luoghi di lavoro, siano essi pubblici o privati.

Indice

La vicenda. Il licenziamento per un like su Facebook.

La vicenda riguarda una lavoratrice turca, all’epoca dei fatti dipendente del Ministero della Pubblica Istruzione, licenziata per aver messo “mi piace” ad alcuni post su Facebook.

Questi post avevano ad oggetto delle critiche rivolte al governo turco.

In particolare, riportavano di accuse di stupro rivolte ad alcuni Imam, insegnanti e statisti, oltre ad essere riferiti ad alcuni partiti politici. La pronuncia della CEDU riporta alcuni stralci di questi articoli, ove si riportava che

I giornalisti sono detenuti, il popolo curdo viene massacrato, chi vuole sfilare per la giustizia viene arrestato. Ma (…) questo non basta al fascismo! Gli assassini attaccano per le strade […] Anche se uccidi, anche se ti fermi, non ci arrendiamo, non staremo zitti, non ci tireremo indietro. Le strade [e] le piazze sono nostre. I martiri sono immortali.

Traduzione non ufficiale, per il testo originale vedi: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{“itemid”:[“001-210417”]}

Per quei “like”, nonostante i diversi ricorsi interni promossi dinanzi ai Tribunali turchi, la dipendente pubblica subiva la conferma del licenziamento.

Pertanto, non riuscendo a far valere il proprio diritto alla libertà di espressione, l’ultima strada è stato il ricorso alla Corte di Strasburgo.

La dipendente sosteneva che tali decisioni erano, in realtà, una conseguenza delle pressioni esercitate dal potere politico sull’autorità giudiziaria.

La decisione. La CEDU risponde sul licenziamento per un like su Facebook.

La Corte Europea, con sentenza n. 35786/19 pubblicata il 15 giugno 2021, prima di motivare la propria decisione, si sofferma sulle valutazioni dei giudici turchi.

La Corte Europea rilevava innanzitutto l’erroneità dell’interpretazione del “like”.

I giudici turchi ritenevano infatti che tali “like” avrebbero turbato la tranquillità sul posto di lavoro, in questo caso specifico, le scuole del Ministero della Pubblica Istruzione.

La turbativa era data dal fatto che i post erano relativi ad accuse rivolte proprio a degli insegnanti, rendendosi così idonei ad alimentare uno stato di preoccupazione per genitori e studenti.

Tuttavia, secondo la CEDU invece i giudici turchi mancavano di bilanciare tale “turbativa” con la circostanza che gli argomenti trattati fossero

  • di interesse generale;
  • da considerarsi manifestazione della libertà di espressione.

Libertà di espressione tutelata dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

In merito, la CEDU ricorda come la libertà di espressione non può tollerare restrizioni nei discorsi politici e di interesse generale.

Con la conseguenza che, anche qualora comminato conformemente alle previsioni del contratto collettivo di lavoro, il licenziamento in violazione del diritto all’esercizio della libertà d’espressione dovrebbe considerarsi nullo.

Di conseguenza

il diritto di espressione va tutelato ed assicurato anche sui luoghi di lavoro, siano essi pubblici o privati.

La Corte verificava poi che la lavoratrice, in base al proprio contratto di lavoro, doveva considerarsi una lavoratrice “privata” e non un dipendente pubblico e quindi soggetta a minori obblighi.

Il dovere di lealtà, riservatezza e discrezione dei dipendenti privati nei confronti del proprio datore di lavoro non può essere quindi equiparato all’obbligo di lealtà e riservatezza richiesto ai membri del pubblico servizio.

Il commento

Nella decisione in commento la CEDU ricorda come internet sia diventato oggi uno dei principali mezzi per esercitare la libertà di espressione, fornendo strumenti essenziali per la partecipazione ad attività e discussioni riguardanti questioni e dibattiti politici di interesse generale[1].

Pertanto, secondo la CEDU, per valutare se un atteggiamento sui social sia idoneo o meno a giustificare un licenziamento o sia espressione della libertà di espressione, si dovrà valutare:

  1. l’ambito in cui interviene la manifestazione di apprezzamento del lavoratore.
    In ambiti come quello del discorso politico e quello relativo alle questioni di interesse generale non si devono consentire restrizioni;
  2. Se si tratti di un mero “like” o di una propria autonoma “pubblicazione” di un contenuto, risultando la “pubblicazione” di un proprio contenuto una presa di posizione più marcata e grave di un semplice like;
  3. Quante interazioni siano seguite al post (quanti like e commenti);
  4. Sempre ai fini della valutazione del concreto impatto di tale critica, quanti follower abbia il lavoratore.

[1] Vedi Vladimir Kharitonov c. Russia, n.10795 / 14, § 33, 23 giugno 2020).

Da ricordare

L’uso del “mi piace” sui social media deve considerarsi una forma comune e popolare di esercizio della libertà di espressione online.

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Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale. Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.

Foto di athree23 da Pixabay

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7 risposte

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