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Punti salienti
Su Repubblica si legge di come un latitante, scappato 20 anni fa da Regina Coeli durante le riprese di un film, sia stato trovato grazie a Google Maps.
Ma si può davvero essere rintracciati sulla base di una foto su Google Maps? In molti se lo chiedono, dato che nell’articolo si legge “Il tempo è passato, ma la cicatrice sulla parte sinistra del mento è rimasta” quando è noto che i volti su Google Maps sono invero sempre coperti.
In realtà, seppur il titolo si concentri solo su Google Maps, nel corpo dell’articolo si precisa come il latitante sia stato trovato grazie soprattutto alle immagini presenti sui social, poi confermate anche da Google Maps.
Infatti, il tutto è partito grazie a delle foto postate su Facebook che hanno poi trovato anche conferma in alcune immagini presente su “street view” di Google Maps. Tali dati, messi insieme, hanno quindi permesso di restituire alla giustizia un soggetto latitante da oltre 20 anni.
Quest’ultimo, pur cambiando nome ed interrompendo ogni contatto telefonico con i parenti, veniva incastrato dai social.
La risposta è affermativa. Google maps, come ogni altro strumento connesso all’utilizzo del GPS, viene considerato dalla giurisprudenza penale e del lavoro quale efficace strumento di prova.
Come abbiamo scritto nel precedente articolo La giurisprudenza lavora in tema di GPS. Il cosiddetto “pedinamento digitale”, i precedenti sono molteplici.
Una delle sentenze più noto ha riguardato il licenziamento di un lavoratore per via delle sue periodiche e prolungate pause dal lavoro. Pause provate grazie all’utilizzo del GPS installato nel furgone di lavoro.
In questo caso si era trattato un lavoratore itinerante, categoria di lavoratori usualmente difficile da controllare durante il lavoro.
In merito, la Cassazione giudicò legittimo il controllo a mezzo dati registrati in un GPS installato nell’autovettura del lavoratore, poiché giustificato dall’esigenza di tutelare l’immagine aziendale. Il GPS confermava infatti come il lavoratore fosse in uso a prendersi delle pause superiori a quanto consentito, con conferma del licenziamento per il lavoratore.
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Tuttavia, il tracciamento GPS è una tecnologia a disposizione non solo del datore di lavoro, potendo risultare parecchio favorevole anche al lavoratore. Si pensi a chi lavora in nero o effettui turni più lunghi rispetto a quelli indicati nel contratto o in busta paga. Avere la possibilità di utilizzare i dati del tracciamento GPS permette ad esempio di provare come i turni indicati magari in una mezza giornata, invero sono pari ad 8 o più ore di lavoro giornaliero.
Secondo alcune recenti ricerche, tale strumento opererebbe con un margine d’errore davvero basso pari, per alcuni dispositivi, ad un paio di metri. Con la conseguenza che chi lo utilizza potrà conoscere non solo in quale edificio si trova una persona, ma anche in quale punto della stanza si trovi in un esatto momento e per quanto tempo sia rimasto presso il luogo di lavoro.
Grazie alla tecnologia ed ai social rintracciare gli spostamenti di una persona è divenuto incredibilmente più agevole, con una precisione tale da permettere a tantissimi lavoratori di poter dimostrare quanto in realtà si sia lavorato.
Consapevole del potenziale del GPS, lo studio legale Rosetta ha sviluppato una perizia in grado di utilizzare tali dati per la lotta al lavoro in nero e per provare i turni di lavoro realmente svolti dalle lavoratrici e dai lavoratori.
Vuoi parlare con un esperto? Vuoi far valutare il tuo caso o avere maggiori informazioni? Scrivici qui.
Nota bene
Il presente articolo ha il solo scopo di fornire informazioni di carattere generale sulle ultime novità normative e giurisprudenziali relative ai temi trattatati dallo Studio Legale.
Di conseguenza, non costituisce un parere legale né può in alcun modo considerarsi come sostitutiva di una specifica consulenza legale.
Photo by Edgar Moran on Unsplash
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